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collaborative studio


Ex cinema corso

Cliente: Fondazione Giuseppe Roi
Luogo: Vicenza

Anno: 2025
Tipologia: Architecture
Fase: Concorso di progettazione a due fasi _ concluso
Team: arch.Davide Burro, arch.Alberto Canton, arch.Pietro Zandonella Maiucco





La scena

“Dance, dance, otherwise we are lost”. Con queste parole Pina Bausch ricorda che danzare non è tecnica ma necessità vitale: quando il linguaggio verbale si esaurisce, il corpo diventa strumento universale di espressione. Come l’arte, la musica o il cinema, la danza è una pratica liberatoria che permette una comprensione più profonda di noi stessi e del mondo.

La scena è il luogo in cui il movimento si fa linguaggio e la rappresentazione assume una dimensione collettiva. Nel tempo ha mutato forma e significato, dal teatro classico al palcoscenico barocco, fino alle sperimentazioni moderne, ridefinendo il rapporto tra spazio, attori e spettatori. Un elemento però rimane costante: la scena come architettura della visione, dispositivo fragile e potente capace di aprire varchi di immaginazione nella vita quotidiana.

Con la modernità lo spazio scenico supera la frontalità e diventa campo aperto, coinvolgente, in cui lo spettatore è chiamato a entrare nell’azione. La scena contemporanea radicalizza questa trasformazione: diventa laboratorio ibrido dove parola, corpo, tecnologia e attivismo si contaminano. Non è più solo contenitore, ma spazio dinamico che si reinventa continuamente come esperienza condivisa di pensiero.

È in questo orizzonte che si colloca il progetto per l’ex Cinema Corso. Qui la scena diventa matrice progettuale: non un palco da contemplare, ma un sistema vivo capace di costruirsi e ricostruirsi nel tempo. L’edificio si trasforma in incubatore culturale aperto a pratiche performative, linguaggi visivi contemporanei e forme di attivismo, rigenerandosi a ogni attraversamento.

Il dispositivo scenico

Il progetto non cancella la memoria dell’ex cinema, ma la assume come interlocutore. All’interno dell’involucro storico si inserisce una struttura leggera, una “scatola nella scatola” che agisce come dispositivo scenico in senso agambeniano: una rete di relazioni tra spazio, tecnologia, percorsi e comportamenti. Un campo aperto e multidirezionale, capace di assumere di volta in volta il ruolo di scena, spazio espositivo, luogo di proiezione, dibattito o installazione, aprendosi alla luce naturale attraverso il recupero del grande lucernario.

La tecnologia è dichiarata e integrata: luci, schermi, teli, ballatoi e sistemi di movimentazione rendono la scena un’infrastruttura flessibile e trasformabile. Il dispositivo diventa così luogo di possibilità, un palcoscenico mobile e sperimentale che restituisce all’ex Cinema Corso il ruolo di nuovo motore culturale per la città


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